Batteriosi del Kiwi: salvaguardare il comparto frutticolo

L’Italia è, dopo la Cina, il primo produttore mondiale di actinidia, più conosciuto come kiwi. Un primato che – grazie alla qualità delle nostre produzioni – ci rende anche leader nell’esportazione. Nel nostro Paese, infatti, si producono, ogni anno, mediamente, 300 mila tonnellate che, oltre ad alimentare la domanda interna, vengono esportate all’estero ed in particolare negli Stati Uniti.
A partire dal 2008 si è assistito alla diffusione della batteriosi dell’actinidia, una malattia ad elevato rischio fitosanitario causata dal batterio Pseudomonas syringae pv. actinidiae Takikawa, Serizawa, Ichikawa, Tsuyumu & Goto (di seguito denominato PSA), che ha provocato danni gravissimi alla coltura dei kiwi in tutto il territorio nazionale, complice anche la mancanza di efficaci mezzi di cura.
I primi risultati di una ricerca volta a prevenire la diffusione del batterio PSA sono stati presentati in data 22 luglio 2014 dal Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura (CRA), al Ministro in indirizzo nel corso del convegno conclusivo dei progetti INTERACT “Interventi di coordinamento ed implementazione delle azioni di ricerca, lotta e difesa al cancro batterico dell’Actinidia (Psa)” ed ARDICA: “Azioni di ricerca e difesa al cancro batterico dell’Actinidia (Psa)”, strettamente collegati tra loro e condotti dal CRA con il Centro Servizi Ortofrutticoli (CSO) di Ferrara.
Dagli studi è emerso che i principali fattori predisponenti la malattia sono gelate e forte piovosità, mentre i periodi più a rischio sono autunno-inverno e di inizio primavera. E’ stata accertata, inoltre, una chiara correlazione tra composizione chimica del suolo e la predisposizione alla batteriosi.
I ricercatori – da quanto si legge sul sito del CRA – avrebbero migliorato e velocizzato le tecniche diagnostiche oltre ad aver definito e sperimentato tecniche agronomiche che vanno dall’individuazione del momento in cui svolgere i trattamenti per ridurre al massimo la possibilità di diffusione nei e tra i frutteti alle forme di allevamento della pianta che, aumentando la circolazione dell’aria all’interno della chioma e riducendo il volume di legno colonizzabile dal batterio, riducono significativamente l’incidenza della malattia fino all’individuazione di alcuni nuovi composti chimici e di origine biologica in grado di ridurre efficacemente la severità e l’incidenza della malattia in pieno campo.
Il dr. Marco Scortichini il direttore dell’unità di ricerca per la frutticoltura del CRA di Caserta ha affermato che “E’ possibile constatare che, dove vengono scrupolosamente applicati gli accorgimenti tecnico-agronomici, emersi delle nostre ricerche, si riesce a convivere con la “batteriosi”, anche in aree dove l’incidenza della malattia negli anni passati era fortissima e dove permangono ancora tutti i fattori predisponenti l‘insorgenza della stessa.”
Thomas Bosi del CSO di Ferrara ha affermato al convegno “Batteriosi del kiwi” promosso dal Crpv di Cesena e dalla Regione Emilia-Romagna e tenutosi il 16 aprile 2014 a Faenza (Ra) che "L’impatto del Psa sul mercato del kiwi non è stato elevato” ma che “ E’ però vero che c’è stata una ricaduta pesante sulle singole aziende agricole che hanno visto un importante aumento dei costi di produzione (in ragione delle maggiori spese per manodopera e mezzi tecnici) ed una minore resa produttiva degli impianti”. “Infine da segnalare”- seguita Thomas Bosi” – “come la geografia produttiva del kiwi sia in forte trasformazione: le zone tradizionalmente coltivate ad actinidia sono in calo e vengono sostituite da nuove aree a digiuno di questa specie frutticola".

Ecco la domanda che ho rivolto al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali :

se non ritenga opportuno intraprendere tutte le necessarie misure di controllo fitosanitarie e quali interventi  intenda promuovere sul piano della diffusione di un’adeguata attività informativa tese a salvaguardare un comparto Frutticolo quale è quello del Kiwi, nonché tutti gli agricoltori interessati.

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