La lotta alle patologie correlate all'esposizione delle fibre di amianto deve proseguire ed è urgente dare delle risposte efficaci a chi le aspetta da anni. I dati nazionali legati alla pericolosità dell'amianto, a oltre venti anni dall'entrata in vigore della legge 27 marzo 1992, n. 257, che ha sancito il divieto di estrazione, commercializzazione e produzione di amianto, sono ancora drammatici: l'Ufficio internazionale del lavoro calcola che i casi di morte dovuti all'asbesto, patologia correlata all'esposizione all'amianto, sono circa 120.000 all'anno. A livello nazionale sono stimati dall'Osservatorio nazionale amianto (ONA) in circa 1.500 all'anno i casi di mesotelioma (per i diversi organi colpiti), e in circa 3.000 i casi di neoplasie polmonari asbesto correlate, per un totale di circa 5.000 decessi per patologie asbesto correlate, comprendendo le fibrosi polmonari e le altre patologie asbesto correlate.
È necessario, anche in linea con il recepimento della direttiva 2009/148/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con l'esposizione all'amianto, di ridurre il rischio per l'incolumità e per la salute pubbliche conseguente alla presenza di amianto nei luoghi di vita e di lavoro.
Le vicende giudiziarie e sanitarie strettamente correlate con le progressive acquisizioni scientifiche legate al riconoscimento della pericolosità dell'esposizione all'amianto o a materiali contenenti amianto risalgono all'inizio del novecento. Già il tribunale di Torino, con una sentenza del 1908, che aveva definito la causa iscritta al n. 1197/1906, promossa dalla società anonima The British Asbestos company Limited contro l'avvocato Carlo Pich, aveva rigettato la domanda risarcitoria sul presupposto che «Le acquisizioni del Congresso internazionale di Milano sulle malattie professionali in cui venne riconosciuto che fra le attività più pericolose sulla mortalità dei lavoratori vi sono quelle indicate col nome di polverose e fra queste in prima linea quelle in cui si sollevano polveri minerali e tra le polveri minerali le più pericolose sono quelle provenienti da sostanze silicee come l'amianto perché ledono le vie respiratorie quando non giungono fino al polmone».
Com’è noto, l'inalazione da amianto (il cui uso è stato vietato in assoluto dalla legge 27 marzo 1992, n. 257) è ritenuta, da ben oltre i tempi citati, di grande lesività della salute (se ne fa cenno nel regio decreto 14 giugno 1909, n. 442 in tema di lavori ritenuti insalubri per donne e fanciulli ed esistono precedenti giurisprudenziali risalenti al 1906) e la malattia da inalazione da amianto, ovvero l'asbestosi (conosciuta fin dai primi del ’900 ed inserita nelle malattie professionali dalla legge 12 aprile 1943, n. 455), è ritenuta conseguenza diretta, potenzialmente mortale, e comunque sicuramente produttrice di una significativa abbreviazione della vita se non altro per le patologie respiratorie e cardiocircolatorie ad essa correlate.
Già il nostro Paese è stato lungamente inadempiente, tanto che dovettero intervenire le istituzioni europee, in quanto l'Italia non aveva recepito la direttiva 83/477/CEE, «Sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con una esposizione ad amianto durante il lavoro», entro il termine del 1o gennaio 1987, cui seguì la procedura di infrazione n. 240/89, che fu definita con la decisione di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea del 13 dicembre 1990 e che reca il seguente tenore letterale: «(...) la Corte dichiara e statuisce: 1) La Repubblica italiana, non adottando nei termini prescritti i provvedimenti, diversi da quelli relativi alle attività estrattive dell'amianto, necessari per conformarsi alla direttiva del Consiglio 19 settembre 1983, 83/477/CEE, sulla tutela dei lavoratori contro i rischi connessi ad un'esposizione all'amianto durante il lavoro, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del Trattato CEE (...)».
L'ultima «Conferenza governativa sull'amianto e le patologie asbesto correlate: stato dell'arte e prospettive» che si è svolta a Venezia dal 22 al 24 novembre 2012 ha fatto emergere fra l'altro la presenza di oltre 40 mila siti con presenza di amianto in Italia, di cui 400 a rischio molto alto.
La ricognizione sullo stato di attuazione della legge 257 ha evidenziato un'omogeneità nazionale di non attuazione: mancano linee guida in molte regioni, la progressione delle bonifiche è di circa l'1 per cento all'anno dell'amianto presente in Italia nel 1992 (si parla del solo smaltimento legale), e con il ritmo che si è tenuto in questi vent'anni si ritiene che siano necessari ancora almeno 60 anni di lavoro. Dati decisamente approssimativi se si pensa che Sicilia e Calabria non avevano comunicato alcun dato al momento della conferenza di Venezia e che gli utilizzatori indiretti di amianto nelle attività produttive non redigono sistematicamente la relazione annuale. Mancano ancora dati di mappatura dell'amianto nelle scuole per oltre la metà della regioni italiane e ciò non è accettabile se si pensa che le patologie asbesto correlate hanno una latenza prolungata e che potrebbero colpire in particolare le fasce di minore età.
Per quanto riguarda la mappatura, esistono sistemi di individuazione dell'amianto visibile dall'alto anche a costi decisamente bassi. Si segnala che i Centri Operativi Regionali (COR) afferenti al Registro nazionale mesoteliomi hanno subìto un depotenziamento che determina la riduzione delle informazioni ottenute da parte degli esposti e che non consente di compilare un registro degli esposti, aggravando la carenza generale di dati in merito ai siti e alle attività produttive contaminate e impedendo la corretta sorveglianza epidemiologica.
È da rilevare che oltre l'80 per cento delle circa 440 mila tonnellate di amianto smaltite negli ultimi anni in Italia è stata spedita all'estero, con costi aggiuntivi e incremento dei rischi durante il trasporto. Il costo medio di smaltimento dell'amianto è di 900 euro a tonnellata se esportato (550 per la rimozione, 250 per il conferimento in discarica e 100 euro per il trasporto). L'individuazione di siti regionali compatibili con lo smaltimento che rispondano a criteri di idoneità geologica, paesaggistica e ambientale potrebbe portare a una bonifica a «kilometri zero», che dovrebbe passare naturalmente per il coinvolgimento delle popolazioni interessate anche in merito alla necessità di riduzione del rischio in relazione al progressivo deterioramento dei materiali contenenti amianto presenti in tutto il Paese e garantendo la massima trasparenza dei dati dei controlli dell'inquinamento delle matrici ambientali circostanti gli impianti, coinvolgendo personale di età prossima alla pensione negli impianti stessi per i già citati dati di latenza dello sviluppo di patologie.
Il piano nazionale amianto del Governo Monti, scaturito anche dalla Conferenza di Venezia, seppur contenga buoni spunti, deve ancora essere approvato dalla Conferenza Stato/regioni ed è bloccato al Ministero dell'economia e delle finanze per la mancanza di coperture; stante l'urgenza che l'attuale Governo attui i provvedimenti necessari a far fronte a questo tema.
Nel corso della recente seconda conferenza internazionale dell'Osservatorio nazionale amianto (ONA onlus) tenutasi nell'aula dei gruppi della Camera il 20 marzo 2014, dove è stata data voce alle Istituzioni, alle associazioni di esposti, ai cittadini e a eminenti scienziati, è emersa oltretutto la necessità di un piano amianto alternativo a quello governativo, che miri in maniera più decisa alla prevenzione primaria, alla ricerca scientifica, alla interdizione dei crimini ambientali lesivi della dignità e dell'incolumità della persona, e che attraverso la valorizzazione delle associazioni e delle autonomie locali possa permettere di affrontare e risolvere questo enorme problema.
È necessario che, in linea con il piano governativo e i piani delle associazioni di esposti all'amianto, siano stabiliti altresì termini specifici e tassativi per eseguire e per portare a termine la mappatura delle zone del territorio nazionale interessate dalla presenza di amianto, nonché la bonifica, ai sensi dell'articolo 20 della legge n. 93 del 2001 e del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 101 del 2003, atteso che l'assenza di termine finale rischia di prorogare sine die gli interventi di bonifica e di esporre a rischio cittadini e lavoratori, con maggior rischio di insorgenza di malattie e lesione della pubblica incolumità e con maggiori oneri sociali e sanitari; è urgente stabilire, inoltre, i termini perentori per la decontaminazione dei luoghi di lavoro in ambito civile e militare, e per il divieto di esposizione all'amianto,
Di seguito gli impegni al Governo della risoluzione che abbiamo depositato e approvato in commissione Ambiente della Camera dei Deputati:
È necessario, anche in linea con il recepimento della direttiva 2009/148/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con l'esposizione all'amianto, di ridurre il rischio per l'incolumità e per la salute pubbliche conseguente alla presenza di amianto nei luoghi di vita e di lavoro.
Le vicende giudiziarie e sanitarie strettamente correlate con le progressive acquisizioni scientifiche legate al riconoscimento della pericolosità dell'esposizione all'amianto o a materiali contenenti amianto risalgono all'inizio del novecento. Già il tribunale di Torino, con una sentenza del 1908, che aveva definito la causa iscritta al n. 1197/1906, promossa dalla società anonima The British Asbestos company Limited contro l'avvocato Carlo Pich, aveva rigettato la domanda risarcitoria sul presupposto che «Le acquisizioni del Congresso internazionale di Milano sulle malattie professionali in cui venne riconosciuto che fra le attività più pericolose sulla mortalità dei lavoratori vi sono quelle indicate col nome di polverose e fra queste in prima linea quelle in cui si sollevano polveri minerali e tra le polveri minerali le più pericolose sono quelle provenienti da sostanze silicee come l'amianto perché ledono le vie respiratorie quando non giungono fino al polmone».
Com’è noto, l'inalazione da amianto (il cui uso è stato vietato in assoluto dalla legge 27 marzo 1992, n. 257) è ritenuta, da ben oltre i tempi citati, di grande lesività della salute (se ne fa cenno nel regio decreto 14 giugno 1909, n. 442 in tema di lavori ritenuti insalubri per donne e fanciulli ed esistono precedenti giurisprudenziali risalenti al 1906) e la malattia da inalazione da amianto, ovvero l'asbestosi (conosciuta fin dai primi del ’900 ed inserita nelle malattie professionali dalla legge 12 aprile 1943, n. 455), è ritenuta conseguenza diretta, potenzialmente mortale, e comunque sicuramente produttrice di una significativa abbreviazione della vita se non altro per le patologie respiratorie e cardiocircolatorie ad essa correlate.
Già il nostro Paese è stato lungamente inadempiente, tanto che dovettero intervenire le istituzioni europee, in quanto l'Italia non aveva recepito la direttiva 83/477/CEE, «Sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con una esposizione ad amianto durante il lavoro», entro il termine del 1o gennaio 1987, cui seguì la procedura di infrazione n. 240/89, che fu definita con la decisione di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea del 13 dicembre 1990 e che reca il seguente tenore letterale: «(...) la Corte dichiara e statuisce: 1) La Repubblica italiana, non adottando nei termini prescritti i provvedimenti, diversi da quelli relativi alle attività estrattive dell'amianto, necessari per conformarsi alla direttiva del Consiglio 19 settembre 1983, 83/477/CEE, sulla tutela dei lavoratori contro i rischi connessi ad un'esposizione all'amianto durante il lavoro, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del Trattato CEE (...)».
L'ultima «Conferenza governativa sull'amianto e le patologie asbesto correlate: stato dell'arte e prospettive» che si è svolta a Venezia dal 22 al 24 novembre 2012 ha fatto emergere fra l'altro la presenza di oltre 40 mila siti con presenza di amianto in Italia, di cui 400 a rischio molto alto.
La ricognizione sullo stato di attuazione della legge 257 ha evidenziato un'omogeneità nazionale di non attuazione: mancano linee guida in molte regioni, la progressione delle bonifiche è di circa l'1 per cento all'anno dell'amianto presente in Italia nel 1992 (si parla del solo smaltimento legale), e con il ritmo che si è tenuto in questi vent'anni si ritiene che siano necessari ancora almeno 60 anni di lavoro. Dati decisamente approssimativi se si pensa che Sicilia e Calabria non avevano comunicato alcun dato al momento della conferenza di Venezia e che gli utilizzatori indiretti di amianto nelle attività produttive non redigono sistematicamente la relazione annuale. Mancano ancora dati di mappatura dell'amianto nelle scuole per oltre la metà della regioni italiane e ciò non è accettabile se si pensa che le patologie asbesto correlate hanno una latenza prolungata e che potrebbero colpire in particolare le fasce di minore età.
Per quanto riguarda la mappatura, esistono sistemi di individuazione dell'amianto visibile dall'alto anche a costi decisamente bassi. Si segnala che i Centri Operativi Regionali (COR) afferenti al Registro nazionale mesoteliomi hanno subìto un depotenziamento che determina la riduzione delle informazioni ottenute da parte degli esposti e che non consente di compilare un registro degli esposti, aggravando la carenza generale di dati in merito ai siti e alle attività produttive contaminate e impedendo la corretta sorveglianza epidemiologica.
È da rilevare che oltre l'80 per cento delle circa 440 mila tonnellate di amianto smaltite negli ultimi anni in Italia è stata spedita all'estero, con costi aggiuntivi e incremento dei rischi durante il trasporto. Il costo medio di smaltimento dell'amianto è di 900 euro a tonnellata se esportato (550 per la rimozione, 250 per il conferimento in discarica e 100 euro per il trasporto). L'individuazione di siti regionali compatibili con lo smaltimento che rispondano a criteri di idoneità geologica, paesaggistica e ambientale potrebbe portare a una bonifica a «kilometri zero», che dovrebbe passare naturalmente per il coinvolgimento delle popolazioni interessate anche in merito alla necessità di riduzione del rischio in relazione al progressivo deterioramento dei materiali contenenti amianto presenti in tutto il Paese e garantendo la massima trasparenza dei dati dei controlli dell'inquinamento delle matrici ambientali circostanti gli impianti, coinvolgendo personale di età prossima alla pensione negli impianti stessi per i già citati dati di latenza dello sviluppo di patologie.
Il piano nazionale amianto del Governo Monti, scaturito anche dalla Conferenza di Venezia, seppur contenga buoni spunti, deve ancora essere approvato dalla Conferenza Stato/regioni ed è bloccato al Ministero dell'economia e delle finanze per la mancanza di coperture; stante l'urgenza che l'attuale Governo attui i provvedimenti necessari a far fronte a questo tema.
Nel corso della recente seconda conferenza internazionale dell'Osservatorio nazionale amianto (ONA onlus) tenutasi nell'aula dei gruppi della Camera il 20 marzo 2014, dove è stata data voce alle Istituzioni, alle associazioni di esposti, ai cittadini e a eminenti scienziati, è emersa oltretutto la necessità di un piano amianto alternativo a quello governativo, che miri in maniera più decisa alla prevenzione primaria, alla ricerca scientifica, alla interdizione dei crimini ambientali lesivi della dignità e dell'incolumità della persona, e che attraverso la valorizzazione delle associazioni e delle autonomie locali possa permettere di affrontare e risolvere questo enorme problema.
È necessario che, in linea con il piano governativo e i piani delle associazioni di esposti all'amianto, siano stabiliti altresì termini specifici e tassativi per eseguire e per portare a termine la mappatura delle zone del territorio nazionale interessate dalla presenza di amianto, nonché la bonifica, ai sensi dell'articolo 20 della legge n. 93 del 2001 e del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 101 del 2003, atteso che l'assenza di termine finale rischia di prorogare sine die gli interventi di bonifica e di esporre a rischio cittadini e lavoratori, con maggior rischio di insorgenza di malattie e lesione della pubblica incolumità e con maggiori oneri sociali e sanitari; è urgente stabilire, inoltre, i termini perentori per la decontaminazione dei luoghi di lavoro in ambito civile e militare, e per il divieto di esposizione all'amianto,
Di seguito gli impegni al Governo della risoluzione che abbiamo depositato e approvato in commissione Ambiente della Camera dei Deputati:
- verificare, d'intesa con le regioni, che entro il 30 giugno 2015 sia eseguita la mappatura dell'amianto contenuto nelle scuole, per tutte le regioni italiane, e si proceda entro il 1o gennaio 2020 alla rimozione dello stesso;
- verificare che sia terminata la mappatura dell'amianto in tutti gli altri locali pubblici e aperti al pubblico entro il 31 dicembre 2016;
- fare in modo che le amministrazioni competenti e i proprietari privati provvedano alla bonifica dell'amianto o dei materiali contenenti amianto entro il 1o gennaio 2020, anche assumendo iniziative normative per introdurre nel codice penale, specifiche fattispecie di reato che puniscano la violazione di tali obblighi e prevedendo l'inasprimento delle sanzioni per fattispecie penali già vigenti;
- verificare, d'intesa con le Regioni, che sia terminata la mappatura dell'amianto nei luoghi di lavoro dove i lavoratori sono, o possono essere, esposti alla polvere proveniente da amianto o da materiali contenenti amianto ivi presente, e a verificare in particolare la presenza di amianto dispersibile in ciascuna attività professionale civile e militare entro il 31 dicembre 2015, verificando, altresì, che il datore di lavoro, indipendentemente dalla concentrazione di amianto in sospensione e dal periodo di esposizione del lavoratore, provveda alla bonifica di tali materiali entro il 1o gennaio 2020, anche utilizzando fondi propri del finanziamento dello specifico settore, anche assumendo iniziative per introdurre nel codice penale, specifiche fattispecie di reato che puniscano la violazione di tali obblighi o prevedendo l'inasprimento delle sanzioni per fattispecie penali già vigenti;
- assumere iniziative affinché per le coperture installate a seguito di sostituzione di opere contenenti amianto siano utilizzati materiali idonei al loro recupero e al loro riciclo in caso di successiva rimozione e ad obbligare la progressiva sostituzione dei materiali in amianto con altri prodotti di uso equivalente non contenenti amianto e altre sostanze cancerogene, con divieto assoluto di esposizione;
- assumere iniziative affinché entro il 1o gennaio 2015, la presenza di amianto, in qualunque luogo, sia evidenziata con l'apposizione di un'etichetta chiara e visibile recante l'indicazione della presenza di amianto e il simbolo del teschio raffigurante la morte;
- verificare per quanto di competenza l'effettiva emanazione di linee guida regionali che comprendano l'informatizzazione dei processi di bonifica, la georeferenziazione e l'individuazione di siti idonei allo stoccaggio dell'amianto in ciascuna regione italiana entro il 1o gennaio 2015, in un'ottica di filiera corta di gestione, di riduzione del rischio e dei costi;
- determinare la sicurezza delle varie tipologie di siti di stoccaggio proposti, a partire da quelli che consentano una minore dispersione in qualsiasi elemento (ad esempio gallerie stradali o ferroviarie dismesse);
- verificare i sistemi di tracciabilità dell'amianto, determinando con precisione quantitativi e costi dello smaltimento estero, al fine anche di consentire investimenti nazionali per la messa in sicurezza dell'amianto, che stimolino a uno smaltimento sostenibile;
- determinare un prezziario nazionale sulle singole tipologie di opere di bonifica;
- predisporre misure di defiscalizzazione per gli interventi di rimozione dell'amianto dagli edifici privati;
- prevedere per gli interventi eseguiti entro il 31 dicembre 2019, anche su capannoni agricoli e strutture montane che dall'imposta lorda si detragga un importo pari al 72 per cento delle spese documentate, fino a un ammontare complessivo delle spese non superiore a 96.000 euro per unità immobiliare;
- individuare forme di incentivazione e sostegno selettive e mirate finalizzate agli interventi di rimozione dell'amianto, anche contestualmente alla realizzazione di pannelli fotovoltaici, garantendo l'accesso a tali forme di finanziamento anche alle imprese;
- prorogare, stabilizzandole, le detrazioni per interventi di ristrutturazione e di efficientamento energetico che riguardano la bonifica dell'amianto;
- prevedere in via prioritaria, le attività di bonifica nei siti ad alto rischio in contesto urbano quali scuole, caserme ed ospedali attraverso specifiche risorse allocate in un apposito fondo statale gestito dai Ministeri della salute, dell'ambiente e del lavoro così come indicato anche nel Piano nazionale amianto del Ministero della salute.
Ma il MoVimento 5 Stelle non si è fermato qui, ecco una selezione di proposte che abbiamo fatto sull'amianto: DOSSIER M5S: NON VI FAREMO MORIRE D'AMIANTO.
I FONDI EUROPEI PER RIMUOVERE L'AMIANTO
Comuni e Regioni hanno un'occasione d'oro. I fondi europei possono essere usati per bonificare l'amianto dagli edifici pubblici. Come denunciato dal Movimento 5 Stelle l'amianto non è stato ancora rimosso dal 98% degli edifici pubblici e dei luoghi di lavoro in cui è presente. Tetti, tegole, pavimento dei cortili, protezioni da calore sono una minaccia alla salute degli italiani. Negli ultimi 20 anni le vittime dimesotelioma (il cancro dell'amianto) sono state 21.463. Considerando i tumori a polmoni, laringe, esofago e testicoli i decessi totali superano le 30 mila unità. Solo le bonifiche possono salvare le vite umane.
L'Europa adesso tende una mano a Comuni e Regioni. Nell'accordo di partenariato Italia-Ue per la programmazione dei fondi 2014-2020 si prevede la possibilità di smaltire l'amianto e ristrutturare il patrimonio edilizio, anche con finalità di risparmio energetico. Tutti gli enti locali e regionali devono attivarsi per sfruttare questa possibilità che finora era stata esplorata solo in minima parte. Il disco verde è arrivato dalla Commissione europea che, in risposta a una interrogazione presentata dal portavoce Ignazio Corrao, ha aperto all'uso dei Fondi strutturali e d'investimento europei, in gestione concorrente, per sostenere la rimozione di amianto dagli edifici, purché, dice la Commissaria Cretu, sussistano evidenti legami con le priorità di investimento elencate nei programmi nazionali o regionali. Nonostante, dunque, sia stato concesso all'Italia di prevedere la rimozione dell'amianto tramite bandi appositi nei diversi Programmi Operativi a valere sul FESR, sono ancora pochissimi i Comuni in cui la mappatura degli edifici con amianto è stata completata. Un uso intelligente ed ecosostenibile dei fondi è un mezzo per arginare i rischi legati alla salute, ma anche per favorire la crescita occupazionale e ridurre il consumo di suolo.
Il Parlamento europeo, lo scorso 25 novembre, grazie a due emendamenti presentati dai portavoce del Movimento 5 Stelle - Laura Agea, Tiziana Beghin, Rosa D'Amato e Piernicola Pedicini - ha bacchettato l'Italia che dell'amianto se ne frega. Nel primo, si chiede alla Commissione europea di finanziare con fondi adeguati i piani d'azione nazionale e la rimozione dell'amianto. Nel secondo, si chiede che tutti gli Stati membri facciano un censimento vero, conformemente alla direttiva europea approvata nel 2009, e risarciscano i lavoratori vittime dell'esposizione all'amianto.
Se non fosse chiaro, ci sono i soldi per rimuovere l'amianto. Basta solo volerlo.I FONDI EUROPEI PER RIMUOVERE L'AMIANTO
VIDEO. I portavoce al Parlamento europeo Ignazio Corrao e Rosa D'Amato spiegano come cogliere l'opportunità dei fondi europei. Per l'amianto, ma non solo
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